13 luglio 2011

Quello che non perdoniamo

 

Adriano Romualdi, prima di lasciarci prematuramente, ci affidò questa dura ed amara riflessione:
“Quello che non perdono al mio tempo non è quello di essere vile, ma di dover costruire ogni giorno l’alibi della propria viltà, diffamando gli Eroi.” Valutato il degrado attuale, questa analisi pur precisa e puntuale, non é più sufficiente. Attualmente il grado di vigliaccheria raggiunto sta precipitando l’Italia nel baratro di una recessione morale ed economica irreversibile, cioè verso quel punto di non ritorno che nella vita dei popoli e delle nazioni significa il fallimento totale del sistema paese e la scomparsa di ogni sia pur minimo segnale di civiltà.

In questi giorni gli italiani sono posti di fronte all’ennesima crisi finanziaria che viene affrontata con i consueti ed inutili provvedimenti  “lacrime e sangue”, cioè attraverso sacrifici che servono soltanto ad ingrassare i soliti predatori ma che non sono risolutivi perché non affrontano il problema alla radice, perché non colpiscono la causa scatenante, perché manca il coraggio di denunciare il meccanismo che provoca l’indebitamento cioè, in concreto, come si forma il “ debito pubblico “e chi sono i creditori che ipotecano la vita degli italiani.

Questo famoso “debito“ è una realtà ma è anche l’alibi per terrorizzare e vessare i cittadini italiani ed europei ormai divenuti sudditi di un sistema usurocratico che imperversa a suo piacimento e al di fuori di ogni controllo popolare. Ciò che non possiamo perdonare all’attuale classe politica di governo e di opposizione è la vigliaccheria di non avere il coraggio di dire finalmente la verità. La classe politica sa che i sacrifici imposti, che sono reali e concreti e che incidono sulla quotidianità delle famiglie italiane già vessate da imposte, tasse e balzelli di ogni tipo e natura, non serviranno a tamponare la crescita esponenziale del debito pubblico, quel debito che è il cappio al collo che la cupola mondialista impone cinicamente ai popoli sudditi del sistema liberalcapitalista e usurocratico.

Sul quotidiano “RINASCITA” di venerdì 8 luglio, il Direttore Gaudenzi ha affrontato l’argomento citando l’esempio di paesi (una citazione politicamente scorrettissima, come affermato dallo stesso Gaudenzi ! ) che sono riusciti a venir fuori dalla morsa dell’usura internazionale e quindi dallo strangolamento economico attraverso provvedimenti di una semplicità ed attuabilità che non si capisce ( o meglio, si capisce anche troppo bene!) come non vengano riproposti ed attuati anche oggi in una situazione di estrema necessità e pericolosità.

Si tratta, in sostanza, dl restituire al popolo sovrano la proprietà della moneta e quindi riacquisire quella sovranità monetaria da parte dello stato adesso nelle mani dei banchieri privati che speculano cinicamente senza limiti, senza regole e senza controllo. Certo ci vuole coraggio, quel coraggio che i nostri “politicanti” – che altro non sono che camerieri dei banchieri – non hanno.

Senza grossi rischi, e come primo provvedimento transitorio per evitare il fallimento totale, basterebbe che lo Stato riprendesse a battere moneta (che è una delle sue prerogative fondamentali !)  per le esigenze della circolazione interna e, quindi, emettesse moneta senza debito con il risultato di ostacolare l’inflazione, impedire l’aumento del debito pubblico, rilanciare le attività produttive e conseguire così la piena occupazione. Ma l’attuale classe dirigente troverà mai il coraggio di intraprendere una tale iniziativa ?

Penso proprio di no ! E allora, prima del collasso totale, dovrà essere il popolo, o quanto meno quella parte èlitaria e responsabile del popolo italiano, a riprendere in mano la situazione; e quel coraggio che non ha la classe politica la dovranno avere quei cittadini consapevoli che non esistono alternative e che dovranno ribellarsi e pretendere almeno la verità.

Occorre uscire dal meccanismo perverso della speculazione finanziaria apolide che mette ciclicamente sotto schiaffo popoli e nazioni e pretendere la restituzione della moneta al legittimo proprietario: il popolo.

Se vogliamo vivere da uomini liberi è necessario riacquisire pienamente la prima delle libertà fondamentali che è alla base del convivere civile nell’ambito di una comunità nazionale: la libertà di non indebitarsi.

E’ il lavoro il patrimonio di una nazione e tutto ciò che con il lavoro si crea rappresenta il controvalore della moneta, che è soltanto uno strumento convenzionale il cui valore si materializza solo nel momento in cui essa viene accettata.

Stelvio Dal Piaz

[fonte: C.S.S.N. del 13 luglio 2011]

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