02 agosto 2011

Il principe e il povero

Forti di un’infarinatura storica che risale ai tempi del liceo, in molti continuano a considerare il medioevo un “secolo buio”, il rinascimento il periodo “della rinascita”, il seicento “barocco” e l’arco di tempo dalla rivoluzione francese ad ora il momento dello sviluppo, del progresso, della realizzazione umana. Ovviamente non parlo di ignoranza pura e cruda, ma di mancanza di metodo critico, per cui se a scuola insegnano che è così, è così, senza preoccupazioni di ordine concettuale relative all’analisi del problema.

Quindi, ad esempio, tra tutti i tanti convinti del “secolo buio”, della “rinascita”, del “barocco” non sanno definire i termini né gli eventi causa delle definizioni, quali, uno tra tutti, quello che ebbe luogo nel 1453. E dunque non sanno neanche spiegare cosa c’è di bello nel passato più recente e positivista, ma dicono generalmente che “la vita media si è allungata”, “le donne sono più rispettate”, si gode di “maggiori diritti e proprietà”.
Premesso il fatto che maggiori proprietà non significa maggiore felicità, ma anzi più preoccupazioni – tanto vero che il movimento che ha rivoluzionato il pensiero moderno, benché sfruttato poi a suo vantaggio dall’industria dei consumi, ossia il flower power, prima di tutto proclamava la rinuncia alla proprietà privata in favore di una vita comunitaria, in cui il ritmo del lavoro è sostituito dal ritmo della natura, la stessa che ora si riafferma prepotentemente con il downshifting e il couchsurfing.

Nel mezzo del cammin della sua vita, tra il 1304 e il 1321, Dante aveva 35 anni. Il che significa che, nel “secolo buio”, gli uomini vivevano suppergiù come ora, liberi dal giogo della medicina per la pressione, la pillola per il mal di schiena, l’ecografia per quel fastidio al ginocchio, metodi chimici estranei ai contadini sardi e ucraini, che continuano a curare le emicranie con gli alcoolici e a campare vent’anni più degli abitanti delle metropoli, intossicati da ormoni e inquinamento. Mi è stato controbattuto che arrivava a settant’anni chi superava i primi anni di vita, molto difficili. Come nell’Africa sieropositiva 1980-2010, dove però chi arriva ad essere adulto ha un’aspettativa di vita di circa 30 anni. Eppure, gli schiavi non erano presi in Africa proprio perché abitata da razze forti e longeve, nel lontano Cinquecento?

Ugualmente le donne, avevano molti meno diritti sulla carta, ma erano rispettate perché ne era riconosciuto il potere creatore di vita, al giorno d’oggi in mano ad una provetta o un utero in prestito. Al punto che la prima divinità apparsa tra gli uomini nient’altro era se non la Dea Madre. La donna non poteva votare, ma era ritenuta pilastro della famiglia e dunque della società; oggi le donne votano, lavorano e in più sono trattate come minorate mentali da soddisfare con un lavoro da segretaria prima di essere lasciate libere di svolgere i compiti domestici. Sono così venerate da essere ritenute comprabili con una cena a lume di candela e un diamante. Le donne non avevano cultura, si è anche detto. Isabella d’Este contro Belèn: chi cosetta sorridente e chi mecenate, bruttina, dei grandi artisti?

Mi si è detto, la famiglia non era come ora: il figlio del servo non poteva sposare la principessa, non c’era mobilità sociale. No, è vero, e se ce n’era era molto limitata; ma oggi, questa mobilità esiste al punto che se un Berlusconi qualsiasi mette su un impero, diventa idolo e simbolo di una via impossibile solcata da un eroe. Se una borghese sposa un principe, i tabloid si scatenano per mesi, urlando alla realizzazione del sogno di tutte – appunto, se è sogno non è realtà. Ed è pur sempre attuale la questione per cui il figlio dell’operaio sarà operaio, il figlio dell’imprenditore imprenditore, perché in ogni caso frequenteranno scuole diverse in zone diverse e avranno amicizie diverse e giocoforza sposeranno persone del loro strato sociale. Se non che mentre nel medioevo erano consapevoli delle regole sociali, oggi si cerca sempre di arrivare dove non si riuscirà mai; ed ecco spiegato lo spopolare di serie tv, placebo per l’animo contemporaneo, in cui si narra la vita dissoluta di persone molto ricche e molto irraggiungibili.
   
Barbara Leva
    
[fonte: Il Talebano del 28 luglio 2011]

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