In un articolo pubblicato alcuni mesi fa, parlando di colesterolo, ricordavamo gli studi che dimostrerebbero l’incontrovertibile legame tra grassi saturi e problemi di cuore, mostrandodo (o almeno ci abbiamo provato) come siano basati su assunti sbagliati, dati debolissimi, quando non esplicitamente manipolati, e conclusioni che, dal momento che siamo ben disposti, definiremmo stiracchiate. Questa volta cerchiamo di approcciare il discorso da un punto di vista meno strettamente scientifico, ma più basato su aspetti evolutivi e di buon senso.
Partiamo da un dato epidemiologico incontrovertibile: certe malattie vengono definite “malattie del benessere” perchè prima del ventesimo secolo non esistevano o avevano comunque un’incidenza limitata.
Ma “malattie del benessere” non è una spiegazione che ci possa convincere, e crediamo valga la pena indagare come mai siano comparse proprio nel ventesimo secolo.
Una spiegazione potrebbe essere che una volta la vita media era molto più breve e certe malattie non facevano in tempo ad arrivare perchè si moriva prima. Non ci convince. La vita media era più bassa, ma la statistica era pesantemente influenzata dall’altissima mortalità infantile (oggi quasi nulla, almeno nei paesi industrializzati), mentre le persone benestanti arrivavano senza problemi a 70-80 anni (basta leggere alcune biografie di personaggi illustri per rendersene conto). E allora cos’era? L’inquinamento atmosferico? Ma no, la gente si ammala anche nei posti di mare, dove l’aria è pulita come lo era 100 anni fa. Lo stress? Non scherziamo…
E se fosse l’alimentazione? Certo, noi siamo quello che mangiamo, per cui è piuttosto probabile che se ci mettiamo a mangiare male ne paghiamo le conseguenze in termini di benessere e salute. Ok, mettiamo che sia l’alimentazione, e cerchiamo di capire come è cambiato il nostro modo di mangiare nel corso dell’evoluzione dell’uomo.
Nel paleolitico, non conoscendo l’agricoltura, l’uomo mangiava gli animali che cacciava e la frutta e verdura che raccoglieva. Degli animali mangiava prima di tutto gli organi, ricchi di grassi e ricchissimi di colesterolo, e poi il resto. Secondo alcuni studi, la composizione della dieta in termini di macronutrienti si componeva del 20% di carboidrati, 65% di grassi e 15% di proteine. La salute dell’uomo paleolitico era a dir poco eccezionale. Anche se aveva la fortuna di vivere in ambienti che abbondavano di cibo, non aumentava di peso e non presentava malattie degenerative.
Circa 10.000 anni fa l’uomo scoprì che coltivando i cereali avrebbe potuto avere ancora più cibo, e la sua sorte non sarebbe più dipesa dalla disponibilità di animali selvatici. E’ la rivoluzione neolitica, forse la più importante della storia dell’umanità. Sono nati i primi insediamenti, le competenze si sono diversificate, è nata la scrittura, l’organizzazione sociale si è evoluta. Okay, benissimo, ma la salute? Un disastro! La statura media dell’uomo neolitico era di 10 cm inferiore a quella dell’uomo paleolitico, e anche altri valori hanno subito peggioramenti. La spiegazione, a nostro avviso, è una sola: l’uomo neolitico mangiava più cereali, di cui aveva disponibilità in abbondanza, e meno alimenti di origini animale. A causa di questa alimentazione, meno nutriente, ha iniziato a crescere di meno e ha conosciuto per la prima volta malattie degenerative come per esempio la carie dentaria.
Facciamo un salto in avanti di un centinaio di secoli e arriviamo alla rivoluzione industriale. I poveri mangiavano patate, pane, polenta e quel poco grasso che potevano trovare qua e là. Vivevano in condizioni di salute spaventose e morivano presto. I ricchi invece non se la passavano male. Mangiavano burro (molto costoso all’epoca), selvaggina, e vivevano a lungo. Per permettere ai poveri di mangiare il burro, o qualcosa di simile, verso la fine dell’Età Vittoriana si iniziarono a produrre dei grassi poco costosi e di bassa qualità, prima derivati dallo strutto, poi, verso la metà del XX secolo, da grassi di origine vegetale. Chi era costretto a mangiarli avrebbe fatto carte false per mettere le mani su del burro fatto come Dio comanda.
Ma ecco che succede l’imprevisto. Le malattie cardiovascolari, fino ad allora praticamente sconosciute, fanno morire gli Americani come birilli. Bisogna trovare una spiegazione, che arriva grazie ad Ancel Keys, un ricercatore che con un audace manipolazione di dati comunque decisamente poco significativi e non proprio attendibili, si inventa letteralmente una correlazione tra il consumo di grassi animali e questo nuovo, terribile disturbo. E, anche non tenendo conto dei grafici ad effetto ottenuti omettendo i dati non favorevoli, si può affermare con forza e decisione che tale correlazione fa a pugni con i milioni di anni in cui l’uomo, o australopiteco che fosse, si è nutrito principalmente del grasso degli animali, senza mostrare problemi di sorta.
Ma, incredibile, la balzana teoria prende piede, anche perchè la potentissima industria alimentare, sviluppatasi sul bisogno di produrre alimenti da fornire ai soldati impegnati in guerra, può così continuare a produrre in tempo di pace per le famiglie ormai terrorizzate dalla grancassa mediatica che demonizza i grassi animali senza possibilità di appello, mentre osanna i grassi vegetali. Una follia! Un alimento scadente e artificiale, estratto chimicamente e destinato a nutrire chi non si poteva permettere di meglio, diventa improvvisamente una prima scelta.
E così ecco un’altra rivoluzione. Il consumo di grassi negli ultimi 40 anni diminuisce sensibilmente (anche perchè gli oli di semi sono obiettivamente schifosi), mentre quello di carboidrati, per compensazione, aumenta vertiginosamente. Sulla base delle teorie di Ancel Keys ci si potrebbe aspettare un sensibile miglioramento delle malattie degenerative. E inceve no, sempre peggio. L’obesità schizza in alto con una discontinuità davvero insolita per una dato del genere, proprio in coincidenza con la pubblicazione delle prime indicazioni nutrizionali della commissione McGovern nel ‘77, ma anche cancro, diabete e disturbi cardiovascolari non danno segni di cedimento.
Invece di puntare il dito, come buon senso suggerirebbe, sul vertiginoso aumento del consumo di zuccheri, passati da 2 chili all’anno pro capite nel 1700 alla spaventosa cifra di 75 chili pro capite oggi, si continua a perseverare in un errore che ha causato, e continuerà a causare se non si inverte la tendenza, inutili sofferenze ad un numero spaventoso di persone.
Paolo Costa
Partiamo da un dato epidemiologico incontrovertibile: certe malattie vengono definite “malattie del benessere” perchè prima del ventesimo secolo non esistevano o avevano comunque un’incidenza limitata.
Ma “malattie del benessere” non è una spiegazione che ci possa convincere, e crediamo valga la pena indagare come mai siano comparse proprio nel ventesimo secolo.
Una spiegazione potrebbe essere che una volta la vita media era molto più breve e certe malattie non facevano in tempo ad arrivare perchè si moriva prima. Non ci convince. La vita media era più bassa, ma la statistica era pesantemente influenzata dall’altissima mortalità infantile (oggi quasi nulla, almeno nei paesi industrializzati), mentre le persone benestanti arrivavano senza problemi a 70-80 anni (basta leggere alcune biografie di personaggi illustri per rendersene conto). E allora cos’era? L’inquinamento atmosferico? Ma no, la gente si ammala anche nei posti di mare, dove l’aria è pulita come lo era 100 anni fa. Lo stress? Non scherziamo…
E se fosse l’alimentazione? Certo, noi siamo quello che mangiamo, per cui è piuttosto probabile che se ci mettiamo a mangiare male ne paghiamo le conseguenze in termini di benessere e salute. Ok, mettiamo che sia l’alimentazione, e cerchiamo di capire come è cambiato il nostro modo di mangiare nel corso dell’evoluzione dell’uomo.
Nel paleolitico, non conoscendo l’agricoltura, l’uomo mangiava gli animali che cacciava e la frutta e verdura che raccoglieva. Degli animali mangiava prima di tutto gli organi, ricchi di grassi e ricchissimi di colesterolo, e poi il resto. Secondo alcuni studi, la composizione della dieta in termini di macronutrienti si componeva del 20% di carboidrati, 65% di grassi e 15% di proteine. La salute dell’uomo paleolitico era a dir poco eccezionale. Anche se aveva la fortuna di vivere in ambienti che abbondavano di cibo, non aumentava di peso e non presentava malattie degenerative.
Circa 10.000 anni fa l’uomo scoprì che coltivando i cereali avrebbe potuto avere ancora più cibo, e la sua sorte non sarebbe più dipesa dalla disponibilità di animali selvatici. E’ la rivoluzione neolitica, forse la più importante della storia dell’umanità. Sono nati i primi insediamenti, le competenze si sono diversificate, è nata la scrittura, l’organizzazione sociale si è evoluta. Okay, benissimo, ma la salute? Un disastro! La statura media dell’uomo neolitico era di 10 cm inferiore a quella dell’uomo paleolitico, e anche altri valori hanno subito peggioramenti. La spiegazione, a nostro avviso, è una sola: l’uomo neolitico mangiava più cereali, di cui aveva disponibilità in abbondanza, e meno alimenti di origini animale. A causa di questa alimentazione, meno nutriente, ha iniziato a crescere di meno e ha conosciuto per la prima volta malattie degenerative come per esempio la carie dentaria.
Facciamo un salto in avanti di un centinaio di secoli e arriviamo alla rivoluzione industriale. I poveri mangiavano patate, pane, polenta e quel poco grasso che potevano trovare qua e là. Vivevano in condizioni di salute spaventose e morivano presto. I ricchi invece non se la passavano male. Mangiavano burro (molto costoso all’epoca), selvaggina, e vivevano a lungo. Per permettere ai poveri di mangiare il burro, o qualcosa di simile, verso la fine dell’Età Vittoriana si iniziarono a produrre dei grassi poco costosi e di bassa qualità, prima derivati dallo strutto, poi, verso la metà del XX secolo, da grassi di origine vegetale. Chi era costretto a mangiarli avrebbe fatto carte false per mettere le mani su del burro fatto come Dio comanda.
Ma ecco che succede l’imprevisto. Le malattie cardiovascolari, fino ad allora praticamente sconosciute, fanno morire gli Americani come birilli. Bisogna trovare una spiegazione, che arriva grazie ad Ancel Keys, un ricercatore che con un audace manipolazione di dati comunque decisamente poco significativi e non proprio attendibili, si inventa letteralmente una correlazione tra il consumo di grassi animali e questo nuovo, terribile disturbo. E, anche non tenendo conto dei grafici ad effetto ottenuti omettendo i dati non favorevoli, si può affermare con forza e decisione che tale correlazione fa a pugni con i milioni di anni in cui l’uomo, o australopiteco che fosse, si è nutrito principalmente del grasso degli animali, senza mostrare problemi di sorta.
Ma, incredibile, la balzana teoria prende piede, anche perchè la potentissima industria alimentare, sviluppatasi sul bisogno di produrre alimenti da fornire ai soldati impegnati in guerra, può così continuare a produrre in tempo di pace per le famiglie ormai terrorizzate dalla grancassa mediatica che demonizza i grassi animali senza possibilità di appello, mentre osanna i grassi vegetali. Una follia! Un alimento scadente e artificiale, estratto chimicamente e destinato a nutrire chi non si poteva permettere di meglio, diventa improvvisamente una prima scelta.
E così ecco un’altra rivoluzione. Il consumo di grassi negli ultimi 40 anni diminuisce sensibilmente (anche perchè gli oli di semi sono obiettivamente schifosi), mentre quello di carboidrati, per compensazione, aumenta vertiginosamente. Sulla base delle teorie di Ancel Keys ci si potrebbe aspettare un sensibile miglioramento delle malattie degenerative. E inceve no, sempre peggio. L’obesità schizza in alto con una discontinuità davvero insolita per una dato del genere, proprio in coincidenza con la pubblicazione delle prime indicazioni nutrizionali della commissione McGovern nel ‘77, ma anche cancro, diabete e disturbi cardiovascolari non danno segni di cedimento.
Invece di puntare il dito, come buon senso suggerirebbe, sul vertiginoso aumento del consumo di zuccheri, passati da 2 chili all’anno pro capite nel 1700 alla spaventosa cifra di 75 chili pro capite oggi, si continua a perseverare in un errore che ha causato, e continuerà a causare se non si inverte la tendenza, inutili sofferenze ad un numero spaventoso di persone.
Paolo Costa
[fonte: Movimento Zero del 17 settembre 2011]
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