A partire dal 2012 le corride in Catalogna saranno vietate. I cosiddetti animalisti ce l'hanno fatta, una legge regionale ha sancito la loro vittoria e sperano essa sia il preludio a una normativa nazionale che estenda il divieto a tutta la Spagna. Ma non sara' facile - in Catalogna la corrida da sempre interessa una ristretta cerchia di pubblico, mentre nel resto della Spagna l'ipotesi di tale proibizione e' sentita dalla maggioranza dell'opinione pubblica come una vera e propria mutilazione dell'anima e dell'identita' nazionale; inoltre, pare che nelle giovani generazioni stia rinascendo una forte passione nei confronti di questo sport, come dimostra l'apertura di nuove "penas taurinas" (circoli di appassionati) nelle maggiori citta'.
Tutta la vicenda e' sintomatica dello spirito dei nostri tempi: la corsa della Spagna verso l'omologazione totale alla modernita', iniziata nel 1992 con l'ingresso nell'Unione Europea, vedrebbe il suo compimento, il traguardo finale, nell'abolizione della corrida, la principale delle sue tante tradizioni e quella che quotidianamente riafferma la sua unicita'. Il paese insomma e' andato nella direzione opposta rispetto a quella auspicata da uno dei suoi massimi pensatori del novecento, Miguel De Unamuno, che quasi con disperazione esortava:"Non bisogna europeizzare la Spagna, bisogna spagnolizzare tutta l'Europa!" Come si sa, ai giorni nostri la morte e' uno scandalo, specie in Europa, entita' economica senza un progetto politico e senza vera gerarchia."Avere un progetto significa guardare in faccia la morte", diceva Heidegger, e per portare avanti un progetto sono necessari dei capi. La morte ritualizzata del toro, e quella eventuale del torero, rappresentano quindi una bestemmia, perche' la mentalita' moderna preferisce sempre e comunque la quantita' rispetto alla qualita'. Vivere il piu' a lungo possibile quindi, non importa come.
Nel mondo tradizionalista della corrida si privilegia invece la qualita': il "toro da combattimento" vive benissimo e viene trattato con ogni riguardo, per poi morire eroicamente nella plaza de toros; a sua volta il torero si guadagna i suoi trionfi attraverso un percorso iniziatico, conducendo una vita sobria e disciplinatissima in cui etica ed estetica trovano un loro perfetto equilibrio. Un'esistenza del tutto simile a quella degli antichi samurai, tant'e' vero che la miglior definizione della corrida e' "arte marziale dell'estremo occidente" - anzi e' forse la piu' occidentale di tutte le arti, la glorificazione dell'individuo che da solo danza con la morte, guardandola dritta negli occhi. Ed e' ovvio che nel tempo questo rito di consacrazione del senso tragico della vita e tutto il coloritissimo glamour romantico che ne deriva abbia attirato l'attenzione dei piu' grandi artisti:Goya, Dali, Miro', Picasso e Piacentino in pittura, Hemingway, Landsberg, Jean Cau, De Montherlant e Garcia Lorca in letteratura; non si contano poi i registi che hanno realizzato film sulla corrida, basti citare Orson Welles e Almodovar, che con "Matador" firmo' la sua pellicola migliore.
In Italia invece, se si esclude l'ormai classico saggio di Max David "Volapie'", uscito cinquant'anni fa, la letteratura sull'argomento e' praticamente inesistente. A colmare questo vuoto arriva ora questo bel libro di Matteo Nucci, giornalista di "La repubblica". saggio filosofico e insieme romanzo autobiografico ben costruito, racconta con passione il singolare percorso dell'autore all'interno dell'ambiente della corrida: il passaggio dalla repulsione all'attrazione verso il mondo taurino e l'incontro con Rafael Lazaga Julia, un ex-torero che, superata l'iniziale diffidenza, accetta di fargli da maestro e gli racconta la vera storia dei toreri del passato e di quelli contemporanei - miti, leggende e misteri della "fiesta nacional". E poi ci sono gli allevatori e il loro amore per quest'animale nobile e selvaggio, gli impresari senza scrupoli, i giovanissimi che scappano di casa per inseguire il sogno di diventare "matador".
In ultima analisi un libro consigliatissimo non solo ai cultori della corrida, ma anche ai tanti che, pur sapendone poco o nulla, sentono un richiamo irresistibile verso quest'affascinante arte antica e quindi post-contemporanea.
Valerio Zecchini
[fonte: Il Secolo d'Italia del 25 luglio 2011]
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