Oslo, Kosovo, Nord-Africa, Vicino Oriente: il cerchio si stringe intorno a noi
Buone vacanze italiani.
Le farete comunque, magari più corte nella speranza di risparmiare: ma alla fine pagherete più del solito senza aver capito perché.
Così come non avete minimamente colto quel che succede, e cioè come la guerra e il terrore, insieme alle crisi, si avvicinano ogni giorno di più alle nostre porte.
Eppure non è difficile rendersene conto, basta dare un'occhiata ai prezzi, un'altra alla produzione, una terza a come siamo sotto attacco da parte degli alleati, una quarta alle masse d'immigrati che si riversano nei nostri porti e un'ultima ai conflitti odierni che sono vicinissimi alle nostre coste e alle nostre frontiere.
Non è difficile prevedere la tempesta, visto che già ci piove addosso e che il vento ci penetra nelle ossa; basterebbe smetterala di pensare a quisquilie, come a dove mettere i ministeri o alla quota di donne da inserire in giunte comunali inutili o a quale partito vanti il tasso di corruzione più alto.
Non c'è tempo per questo. Siamo già in guerra e la situazione non potrà che degenerare travolgendoci.
Morti che camminano
Per quel che ci riguarda, i registi global ci hanno allontanati da quasi tutti i nostri partners economici ed energetici, in primis dalla Libia, hanno espropriato gran parte delle nostre aziende strategiche, stanno attaccando Eni e Finmeccanica e ci stanno inginocchiando definitivamente con le speculazioni finanziarie. Il tutto mentre ci occupano tramite milioni d'immigrati dal sud.
Con il nostro tasso di natalità, già solo per questo potremmo definirci morti. Morti che camminano, come i condannati alla pena capitale che in Usa attendono l'esecuzione nel braccio speciale.
Ma la guerra a noi è collaterale. Essa è mossa innanzitutto contro qualsiasi possibilità di emancipazione europea, in difesa preventiva del duopolio sino-americano; ed è condotta principalmente contro Russia e Germania e poi contro i loro alleati più stretti, come gli scandinavi e i serbi.
Va di pari passo con l'offensiva nel mondo arabo dove ogni progetto, partito o governo sociale e nazionale viene aggredito dalla nuova santa alleanza tra djihadisti e liberaldemocratici.
Liberal djihad democrazie
Non è difficile leggere la trama della tragedia in corso perché non è minimamente celata, anzi è ostentata tranquillamente.
In Nord-Africa e in Vicino Oriente si stanno recidendo tutti i legami con le nazioni europee che, a differenza dell'Inghilterra e della Francia sarkoziana, non siano allineate totalmente a Washington e a Tel Aviv.
Per realizzare questa rivoluzione “democratica” destinata a sconvolgere le relazioni energetiche e ad “internazionalizzare” un'area geografica posta a cuscinetto tra Occidente e Cina, gli Usa hanno messo in moto ogni tipo di arma e non hanno badato a spese.
Tanto per rendere l'idea, la sola Ong americana New America Foundation ha investito la bazzecola di 70 milioni di dollari per la creazione di kit per ciber-attivisti con emittenti WiFi indipendenti dalle reti locali.
Come ha rivelato Wikileaks, ma come poi ha sostenuto orgogliosamente Obama, il ruolo americano, e anche quello inglese, nelle “primavere” arabe è stato totale, con tanto di addestramento prolungato in luoghi con copertura diplomatica di quadri insurrezionalisti.
La morfologia politica dei paesi “liberati”, ovvero ricolonizzati secondo il nuovo verbo, è audace ma chiara: una mistura tra liberaldemocrazia e fondamentalismo djihadista da cui dovrebbe emergere una nuova forma di governo che potrebbe anche fornire qualche spunto formale per la ristrutturazione delle democrazie occidentali, che va sempre più nella direzione della riduzione delle libertà, una dinamica, questa, che detta la necessità di rifarsi il trucco.
Tutti i fuochi dell'offensiva
Se osserviamo attentamente su chi puntano i glob-makers in questa sanguinosissima ristrutturazione, ci accorgiamo che, oltre che sulle pattuglie di Soros e delle Ong, gente perfetta per sovvertire ma incapace comunque di governare, essi fanno affidamento su Fratelli Musulmani e Salafiti.
L'attacco all'Europa e al Vicino Oriente verte su tre direttrici.
La prima è quella energetica e si traduce nel tentativo d'impedire la costruzione della pipeline South Stream e nell'imposizione del Nabucco.
La seconda è quella del divide et impera intorno ad Israele e alla Via della Seta, ragion per cui si prova a costituire un quarto centro islamico, possibilmente in Egitto, che entri in concorrenza con Teheran, Riyad ed Ankara. Fin tanto che queste centrali si scanneranno tra loro per prevalere, la situazione sarà stabile e non preoccupante per chi muove i fili. Specie se tutti i regimi a ispirazione nazionale frattanto saranno stati spazzati via.
La terza è quella del terrore in Europa. Il santuario salafita in Kosovo e le mire genocide contro i serbi forniscono il fulcro ideale per questa strategia che pochi giorni fa ha già trovato il pendant, uguale e contrario, nel pericoloso precedente di Oslo.
Oslo, Kosovo, Nord-Africa, Vicino Oriente: la ristrutturazione sanguinaria procede svelta e diffusa e non guarda in faccia nessuno. Se solo un anno fa qualcuno avesse paventato un quadro del genere così vicino alle nostre case sarebbe stato zittito come un allarmista. Oggi che ci siamo dentro nessuno sembra avvedersene.
I casi turco e siriano
Nessuno poi sembra aver colto la novità fattuale di quanto era già in nuce da un ventennio, ma non era a tutti così manifesto. Ovvero l'alleanza stretta tra le oligarchie democratiche e occidentaliste e i fondamentalisti religiosi.
In due casi quest'alleanza non viene più mascherata in alcun modo, dimostrando come i due opposti hegeliani siano indissolubilmente alleati nell'impedire qualsiasi sintesi.
In Turchia Erdogan, con la sua scelta islamica moderata, e con le nuove prospettive politiche verso l'est ed energetico-strategiche verso l'Europa, ha capovolto gli schemi disegnati dagli atlantici.
Ecco perché è oggetto di tentativi di attentati, ad opera di fondamentalisti religiosi come di comunisti curdi, e di minacce di golpe da parte di una casta militare filo-israeliana proprio nel momento in cui cerca di mediare sulla crisi siriana.
In Siria le Ong e i Fratelli Musulmani si muovono fianco a fianco, insieme ad agit-pop e a franchi tiratori armati dagli angloamericani e che non esitano a sparare sulle folle eccitate, secondo uno schema alla Giorgiana Masi.
E si vuol approfittare dell'estate per liquidare Assad ed instaurare una dittatura democratica ispirata alla Sharia e controllata dai Fratelli Musulmani e dai servizi atlantici.
Dopo di che non solo l'Europa non avrà più alcuna sponda nel mondo arabo, ma il disegno delle rivalità tra centri islamici e della conflittualità tra le locali potenze regionali diventerà solo questione di tempo.
Senza se e senza ma
Il bello è che tutti i media occidentali ripetono acriticamente quanto è sanguinoso il regime, senza soffermarsi un istante sulle azioni terroristiche messe in atto da alcuni gruppi di insorti.
I quali, pur essendo solitamente minoranze etniche o tribali, vengono presentati come gente di popolo inerme laddove il popolo inerme massacrato a Gaza viene invece bollato come un insieme di terroristi.
D'altronde non si è esitato a sostenere i secessionisti cirenaici armati da Londra e Parigi e inquadrati da jihadisti, egiziani o waabiti, benché si macchiassero di eccidi di lavoratori immigrati.
La retorica dei Diritti Umani vede solo quel che vuol vedere, anche quando non c'è, e non vede quel che non vuol vedere, anche quando sembrerebbe impossibile ignorarlo.
Così la guerra alla Siria, che è allo stesso tempo guerra all'Europa, guerra all'Italia, guerra al mondo arabo e guerra alle libertà nazionali, verrà esaltata dai media come operazione doverosa per difendere la libertà dei sediziosi eccitati ed armati da oltre frontiera.
Non capire nulla è concesso, ripetere gli scellerati errori già commessi no. Basti pensare al regime più simile a quello siriano, l'iracheno. Anche lì ci si mosse per “imporre la libertà”.
L'Iraq prima era un paese florido, sviluppato, con alta distribuzione di giustizia sociale.
Vi convivevano in pace tutte le comunità religiose, uno dei suoi principali rappresentanti era Tarek Aziz, un cristiano. A Bagdad, capitale musulmana, non erano aperte solo le chiese ma la sinagoga che era regolarmente frequentata proprio mentre si scambiavano missili con Israele.
La foltissima componente sciita non era mai entrata in conflitto con la sunnita, neppure durante la guerra tra l'Iran sciita e l'Iraq.
In poco tempo invece l'alleanza democratico-fondamentalista ha precipitato il paese in un inferno, devastato e insanguinato da faide infinite tra clan, tribu e confessioni, preda di stragi quotidiane e incontrollate e governato da una minoranza che esercita l'autorità mediante esazioni e torture.
In Siria le libertà religiose e civili e i diritti delle minoranze oggi sono garantiti, cosa sempre meno frequente nell'area, specie nelle zone dove abbiamo avuto l'eccellente idea di esportare democrazia.
La Siria è una nazione fiera, salda e prospera.
Se diamo retta ai nostri media e agli opinion-makers angloamericani, domani la Siria sarà ridotta come l'attuale Iraq. E noi, oltre ad essere ancor più poveri, saremo teatro di guerre e di massacri.
Buone vacanze italiani, presto vi renderete conto di quanto vi sarà costato non stare con Assad; senza se e senza ma.
Gabriele Adinolfi
[fonte: No Reporter del 31 luglio 2011]
Nessun commento:
Posta un commento